Contratti online a rischio senza firma digitale
26 Giugno 2012
Il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto inefficaci alcune clausole contenute nelle condizioni generali che disciplinano il rapporto tra e-bay e i propri utenti. Trema il mondo dell’e-commerce italian
E’ un provvedimento destinato a far discutere e che sta già facendo tremare il mondo dell’e-commerce italiano quello pronunciato nelle scorse settimane dal Tribunale di Catanzaro che ha ritenuto inefficaci talune clausole contenute nelle condizioni generali che disciplinano il rapporto tra e-bay ed i propri utenti.
“Con riguardo alle clausole vessatorie online, l’opinione dottrinale prevalente – alla quale il Tribunale aderisce – ritiene – scrivono i Giudici – che non sia sufficiente la sottoscrizione del testo contrattuale ma sia necessaria la specifica sottoscrizione delle singole clausole, che deve essere assolta con la firma digitale”.
“Dunque, nei contratti telematici a forma libera – continuano i magistrati – il contratto si perfeziona mediante il tasto negoziale virtuale, ma le clausole vessatorie saranno efficaci e vincolanti solo se specificamente approvate con la firma digitale”.
A leggere l’Ordinanza del Tribunale di Catanzaro, verrebbe da concludere che decine di migliaia di clausole, contenute in altrettante condizioni generali di contratto alle quali sono attualmente affidati i rapporti negoziali tra i gestori delle principali piattaforme di e-commerce [n.d.r. ma lo stesso principio investire e travolgerebbe anche i fornitori di servizi di comunicazione elettronica, i social network e gli user generated content] sono inefficaci e che, dunque, non potrebbero mai essere utilizzate “contro” gli utenti.
Bene così, potrebbe dire qualcuno, se si guardasse alla vicenda dal solo lato degli utenti – consumatori e professionisti -, “liberati”, d’un colpo, dal “giogo” negoziale di clausole, spesso, per loro sfavorevoli.
Il punto, però, è un altro.
A ragionare così si rischia di infliggere un duro colpo all’e-commerce italiano già sofferente di un ritardo che appare, a tratti, incolmabile rispetto al resto d’Europa.
In caso di contratti disciplinati da condizioni generali predisposte da una delle parti – stabilisce l’art. 1341 del codice civile – “non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, (1229), facoltà di recedere dal contratto(1373) o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze (2964 e seguenti), limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni (1462), restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi (1379, 2557, 2596), tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie (Cod. Proc. Civ. 808) o deroghe (Cod. Proc. Civ. 6) alla competenza dell’autorità giudiziaria”.
Se la posizione dei Giudici del Tribunale di Catanzaro che, tuttavia, non convince dovesse diffondersi, il lento sviluppo del commercio elettronico – tanto quello B2C che quello B2B – in Italia subirebbe una gravissima battuta d’arresto.
Le condizioni generali che disciplinano i rapporti tra gestori ed utenti delle più diffuse piattaforme online sono, infatti, pieni di clausole che rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 1341 c.c. e ben difficilmente i gestori di tali piattaforme sarebbero in grado di rinunciarvi continuando ad erogare i relativi servizi e/o vendere i propri prodotti nel nostro Paese senza poter fare affidamento sulle garanzie loro derivanti proprio da tali clausole.
C’è, quindi, ben poco da stare allegri.
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